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Quando Edipo avvicina Telemaco, quando lo sguardo fissa la stella sentendone l'alito vero, l'influsso, fino alle vette di un sembiante eroico, incarnato, allora il mito trova fra le sue unghie la traccia della storia, del primo grido, della bellezza che salva e che spaventa insieme. Capolavoro assoluto, fra i dieci romanzi più grandi del Novecento letterario italiano. Uno sfondo d'incanto a imprimere in ogni gesto la fragilità e la perfezione di ciò che è primitivo; rocce come volti intatti, profumi di un vento ancora antico, sentieri arcigni, conchiglie, cenci sventolanti, botteghe, un canto selvaggio che via via si dispone all'ascolto nella sua crescita lenta, su rami di inconsapevolezza dai quali via via germoglierà la scoperta di ciò che è adulto, ambiguo, difficile. Un risentimento che nel ragazzo non è che sete d'amore mal celata, la scoperta di sé nell'intricata matassa di esperienze sfuggenti: "Forse il mio cuore approfittava, a mia insaputa, della mia immaturità e ignoranza per difendermi contro la verità?..e la coscienza, nelle sue gare col cuore, si aggira in questo gioco bizzarro come uno straniero a un ballo mascherato, fra i fumi del vino". Quindi un padre adorato come un Dio e poi gradualmente rivisto nel chiarore di eventi più terragni (una parodia!), la stinta fotografia di una madre mai conosciuta, l'amore infelice per una matrigna coetanea, un amore taciuto, deriso persino,che sfocerà in un Ti amo vano, preludio d'addio alle illusioni di un tempo ormai trascorso:"abitavo sotto lo stesso tetto di Nunziata come un reprobo a una corte celeste".Un desiderio di fuga inevitabile, l'urlo malvagio di ogni cosa attorno a indicargli le strade di una libertà nuova, possibile,dura perché di guerra, ma umana,fuori da quell'arena fiabesca dove la malattia della vita comunque è approdata,si è fatta trovare,incidendo e cambiando la misura di ogni sforzo,di ogni fiducia,di ogni futuro, trasformando la prodezza adolescente nel passo sofferto del proprio vero tempo.
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